(Fonte foto: video.gazzetta.it)
Come non dare ragione a Mark Twain quando sosteneva come il giornalista sia “colui che distingue il vero dal falso e pubblica il falso”, allorché si leggono alcuni articoli alla stessa stregua di quello vergato da Mario Pagliara sulla Gazzetta dello Sport, in cui si magnifica, a mercato calciatori ancora ufficialmente nemmeno iniziato, un Torino “ricco, quasi al completo e con una marcia in più”. Il problema non risiede ovviamente in una opinione, per quanto fallace sia, esposta legittimamente da un giornalista, ma piuttosto sull’inopportunità di magnificare la squadra del suo datore di lavoro, visto come la squadra stessa non abbia fatto al momento nessun movimento di mercato e presenta lacune evidenti nella sua rosa. Scorrendo l’articolo, dai risvolti da comicità involontaria, non si comprende se l’intento sia quello di glorificare le strategie del “capo” oppure di dare abili colpi di “spazzola” all’orgoglio e all’ego di Ivan Juric, nell’intento di far passare come missione felicemente compiuta la costruzione convincente di un progetto sportivo del Toro. Pagliara proprio non si rende conto, evidentemente, del momento delicato (ed è un eufemismo) intercorrente tra il Presidente del club Granata e i tifosi e snocciola un “pezzo” che nemmeno la “Pravda” dei tempi migliori avrebbe osato pubblicare con simile noncuranza rispetto allo spirito del tempo. Ma questa penosa faccenda porta ancora una volta alla ribalta la crisi della “terzietà” della stampa rispetto agli accadimenti di cui dovrebbe essere il famoso “cane da guardia” per conto e per nome dell’opinione pubblica. E’ ancora vivo il ricordo del governo di Tony Blair risoluto nel bloccare l’acquisto del Manchester United da parte di Rupert Murdoch, allora detentore dei diritti della Premier League attraverso Sky. Il Governo della Corona intravide giustamente un conflitto di interessi enorme come una casa in colui che, attraverso i soldi distribuiti dalla sua tv ai club inglesi, aveva un oggettivo potere verso la Premier assolutamente incompatibile con la proprietà di una delle squadre più famose del globo. Inoltre, questione assai più importante, chi funge da “controllore” non può avere anche un ruolo di “controllato”, poiché, inevitabilmente, il sospetto di un favoritismo verso il secondo sarebbe più che legittimo. E poi, in caso di problemi legati allo United, come si sarebbero comportati i giornalisti di tutto l’allora universo editoriale di proprietà del magnate australiano? Le regole, in un Paese serio e di solida civiltà democratica, sono una faccenda seria e non passibile di nessuna deroga, perché la qualità del giornalismo ha il potere di modificare in meglio o in peggio la qualità di una comunità di persone. Fare giornalismo è una assunzione e un atto di responsabilità nello stesso tempo, e non si può far scadere questa professione al ruolo di parodia. In un onesto e corretto ordine delle cose Urbano Cairo avrebbe dovuto lasciare la proprietà del Torino nell’istante in cui era diventato padrone della più antica e autorevole testata sportiva italiana, e non avrebbe dovuto nemmeno essere spunto di mortificazione della professione per qualche giornalista alle sue dipendenze voglioso di compiacerlo. Il giornalista non solo deve essere libero ma deve anche apparire tale, perché, in realtà, il suo vero referente è solo ed esclusivamente il lettore. La gravità dell’atto dell’articolo di Pagliara purtroppo passerà sotto silenzio, poiché da tempo nel Paese vige una strana accettazione dell’indecenza, una incredibile assuefazione alla protervia, una totale mancanza di dibattito sulla necessità di avere delle regole ad impedire una eccessiva concentrazione di potere, una feroce mancanza di rispetto verso alcune professioni estremamente importanti e delicate per far sì che il Diritto prevalga e venga protetto da una elite italica sempre più famelica e allergica ai limiti necessari, al fine di non dare una via libera definitivo al “darwinismo sociale” oramai incuneatosi in quasi tutte le attività del Paese. La cessione della proprietà del Toro da parte di Cairo a questo punto è diventata una urgenza, anche per togliere definitivamente il sospetto che gli articoli della Gazzetta dello Sport sul club Granata siano degli avvilenti “redazionali”. Il “Quotidiano Rosa”, per il suo prestigio e per la sua storia, merita di più della nomea di organo di propaganda del suo editore. Urbano Cairo la liberi al più presto da questo equivoco, e faccia onore al suo mestiere di editore.
Una risposta
Articolo perfetto, complimenti!
L’indipendenza del giornalista dal suo editore, che dovrebbe essere la regola, è ormai merce rara, rarissima all’interno della “Rosea”.
Io da tifoso laziale devo registrare, quasi quotidianamente, attacchi alla Lazio, e quindi ai suoi tifosi, per il semplice fatto che c’è una “guerra” in atto tra Cairo e Lotito e i vari “giornalisti” dellaGdS, Esposito, Piccioni, Cieri, Zucchelli, Barigelli, etc., non perdono occasione per allisciarsi il padrone.
Risultato, io la Gazzetta dello Sport non l’acquisto più.
Un cordiale saluto.
Nilo