Nella puntata “Calciatori sotto tiro” andata in onda su Calcioealtrestorie nella serata di ieri venerdì 10 marzo (clicca qui per vedere la puntata), il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori ha spiegato l’importanza che avrebbe la lotta agli episodi di violenza ai danni dei calciatori e non usa mezzi termini per definire determinate situazioni.
“L’intento del report Calciatori sotto tiro,” dice il presidente Calcagno “non ha l’unico fine della difesa dei calciatori, ma mira a difendere tutto il nostro sistema, perché un azzeramento di questi episodi creerebbe benefici a tutto il calcio italiano, come l’arrivo di campioni che vogliono cimentarsi in Serie A, l’aumento conseguente dei diritti tv e via dicendo. Se un sistema sportivo che vive della passione dei propri tifosi non riesce ad eliminare o comunque a contenere queste storture, si va in difficoltà. Ovviamente ci dobbiamo anche dire in maniera molto schietta che tanti degli episodi che avvengono all’interno del nostro mondo, sono lo specchio della nostra socialità, cioè di ciò che avviene al di fuori. Per cui non possiamo nemmeno immaginare che il calcio diventi una bolla all’interno della nostra società dentro la quale poi non si ritrovino le storture che tanti ragazzi e nostri giovani hanno poi nella vita di tutti i giorni. Però questa non deve neanche essere una giustificazione perché proprio grazie allo sport noi dovremmo essere un veicolo ancora più forte rispetto ad alcuni messaggi. È per questo che noi molto spesso leghiamo il report all’hashtag #nonènormale, cioè noi purtroppo viviamo anche in un contesto, e questo fa parte come stortura anche della mentalità del calciatore stesso, e questo è successo anche a me in carriera, dicevo che viviamo in un contesto dove non possiamo considerare normale quello che accade. Gran parte degli episodi fortunatamente non sfociano nella violenza, ma badate bene, il 7% sono veri e propri episodi di violenza. Ma anche tutto ciò che non è violenza, come l’intimidazione o la contestazione che diventa comunque insulto non può far parte della nostra professione.”