A margine della puntata di Calcioealtrestorie dal titolo “Calciatori sotto tiro”, andata in onda nella serata di ieri, con ospiti il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, Umberto Calcagno, ed il giornalista di Tuttosport, Marco Bonetto (clicca qui per vedere la puntata), ci siamo intrattenuti proprio con il giornalista del quotidiano sportivo torinese, per approfondire con lui il tema della violenza che spesso i calciatori si trovano a dover sopportare.
Bonetto, che spunti ci ha dato il presidente Calcagno?
“Intanto la buona notizia è che gli episodi di violenza peggiori sono statisticamente in diminuzione. Lo ha sottolineato il presidente ed è anche quello che è riportato sul report Calciatori sotto tiro, preparato dall’Associazione Italiana Calciatori. Tuttavia l’aspetto forse preoccupante è che continuano ad essere troppo numerosi gli episodi di intimidazione, violenza, minacce e via dicendo, allargati sempre di più anche ai settori giovanili. Cioè non sono ristretti, come si sarebbe potuto dire quaranta o trenta anni fa ai campi di periferia o a certe realtà economicamente più svantaggiate della serie C, adesso è un discorso molto più pericoloso e trasversale, che saltella dai social alle curve degli stadi, senza più limiti e coinvolgendo persone di ogni categoria ed età. La violenza cambia nel tempo, è un mostro che cambia la testa con violenza, fisica, verbale o psicologica che essa sia.”
Nella tua vita da giornalista sportivo ti sei mai ritrovato a raccontare, tuo malgrado, episodi di violenza perpetrata sui giocatori?
“Beh, sì. Al di là delle deprecabili situazioni relative alle tante contestazioni, alle partite interrotte o anche quelle sospese – mi riferisco in particolare a quel Torino-Milan del febbraio di 20 anni fa, sospesa sul risultato di 0 a 3 per i rossoneri – ricordo quando i tifosi assalirono i giocatori del Torino tanti anni fa presso il ristorante I Cavalieri, momento di tensione in cui ci fu anche qualche contatto fisico, fortunatamente senza conseguenze. Il tutto perché erano arrabbiati per i risultati e per certi atteggiamenti di alcuni giocatori. Quello per me fu l’esempio più significativo e poi ricordo anche monetine e banconote finte ai danni di Vergassola e Tiribocchi, i quali arrivavano al campo di allenamento visivamente preoccupati e che poi furono addirittura costretti ad andar via. Insomma per i giocatori, andar via per queste situazioni è una sconfitta, è una sconfitta per loro, per i club e per la socialità.”
Tu che sei vicino al mondo del Toro, credi che la gestione Radonjic da parte di Juric, alla fine, possa produrre effetti positivi? Juric dopo la gara contro il Bologna ha detto che quanto successo nel derby servirà a Radonjic…
“Come ha detto il presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, Umberto Calcagno, quella di Juric è stata una scelta tecnica, che senz’altro ha fatto discutere, ma rientra nel diritto di un allenatore mettere in campo un giocatore, salvo poi cambiare idea e richiamarlo in panchina. Naturalmente non è una bella cosa per il calciatore, ma l’allenatore deve avere anche il diritto di decidere in situazioni come queste. Ciò detto, il caso Radonjic non avrebbe mai potuto giustificare nessuna forma di violenza sul giocatore, che infatti non si è verificata. In passato ci sono stati casi all’estero anche di calciatori uccisi, per un rigore sbagliato o per un autogol, ma parliamo chiaramente di situazioni estreme e legate al narcotraffico o alle scommesse. Il caso Radonjic lo lascerei a quello che è, ovvero ad un fatto di campo. Radonjic da anni, sin da quando ha iniziato a fare il calciatore, è di difficile gestione. L’ex Marsiglia è difficile da gestire, tutti gli allenatori hanno avuto qualche problema con lui e tutte le società dove è stato a turno lo hanno scaricato. Paradossalmente lui non ha neanche delle brutte reazioni a posteriori, perché non è che abbia rilasciato delle interviste di fuoco, si è limitato ad una frase innocua via social, nulla di grave. Lui è così, è nato puledro e finirà puledro. È un cavallo di razza abituato a correre libero senza briglie e senza un fantino in groppa. Quando magari a 35 anni appenderà le scarpette al chiodo, sarà ancora un cavallo senza briglie.”
Il rimedio tranchant del Brasile contro il razzismo negli stadi (penalizzazione di punti in classifica per i club i cui sostenitori si sono macchiati di episodi di razzismo) non trova d’accordo il presidente Umberto Calcagno che ha parlato di una sorta di effetto boomerang, nel senso che sappiamo che le tifoserie più accese, a quanto pare, tengano in ostaggio le società. Un’eventuale applicazione della normativa brasiliana in Italia potrebbe comportare effetti estorsivi?
“In effetti si potrebbe generare un cortocircuito che avrebbe del paradossale. Oggi magari accade di meno perché chiaramente i daspo hanno avuto degli effetti sui comportamenti delle tifoserie, ma un tempo i tifosi distruggevano i seggiolini che poi gettavano in campo, devastavano i bagni o facevano esplodere delle bombe carta e facevano prendere multe a volte salate e condizionavano così la società di turno. Quindi non ci sarebbe da stupirsi se, nel caso in Italia venisse adottata la norma brasiliana, con punti di penalizzazione in ballo in classifica, le frange più calde dovessero utilizzare questa norma come mezzo di estorsione per ottenere biglietti, o altri favori, cantando cori beceri di stampo razzista. Sarebbe una situazione ancor più difficile da gestire, penso. Ritengo che le punizioni per i responsabili e per le tifoserie coinvolte, vedi la chiusura temporanea di un settore dello stadio, debbano continuare ad esserci senza se e senza ma. Altrimenti non ne usciamo. Circa dieci giorni fa ho intervistato l’onorevole Berruto, l’ex ct del volley, il quale mi diceva che ormai anche al livello parlamentare bisogna affrontare il problema secondo il quale troppe società oggi si sentono ostaggio di tifoserie, non solo di Serie A, che rischiano di essere portate dentro a episodi di para-illegalità. Tipo il bagarinaggio, perché anche se il reato viene commesso dal singolo capo ultras che gestisce la vendita dei biglietti, forniti dalla società, è evidente come anche il club sia in un certo senso corresponsabile. E un presidente non può mettersi da solo contro un’intera curva e poi chiedere aiuto alle autorità, a cose fatte.”
Dunque quale potrebbe essere un rimedio efficace alla lotta contro il razzismo?
“Un rimedio che risolve un annoso problema in un batter di ciglia non esiste. Però si potrebbe pensare ad incentivi da dare alle società con tifoserie più corrette, alle società che organizzino convegni per sensibilizzare la gente ad un’attenzione maggiore verso le tematiche della violenza e del razzismo. Soprattutto è importante che le dirigenze ascoltino determinate richieste che possono giungere da propri tesserati. Se ad esempio sono i calciatori ad organizzare eventi o interviste volte a promuovere la lotta al razzismo e agli episodi di violenza, è importante che venga demandato agli uffici stampa delle società e ai relativi dirigenti il supporto alle suddette iniziative. È chiaro che questo discorso in ogni squadra può essere portato avanti da due o tre giocatori maturi, carismatici, però moltiplicato per venti squadre, si avrebbe un bell’effetto moltiplicatore.”
Cosa ti aspetti dal mondo del calcio, in merito ai temi trattati?
’“Purtroppo ci sono ancora ancora troppa indifferenza e menefreghismo. È migliorata la sensibilità generale rispetto agli anni Ottanta e Novanta, ma ci sono ancora troppe categorie, dai media ai dirigenti, dai calciatori ai tifosi, che tendono sovente a sottovalutare e a ridurre i confini della violenza, come se con essa si potesse intendere solo uno schiaffo dato a un calciatore. Ovviamente non è così. Le violenze verbali e le forme discriminatorie per razzismo o per l’orientamento sessuale, sono tutte forme deprecabili e da debellare e vanno combattute di più. C’è ancora troppa indifferenza all’interno dello stesso mondo del calcio: temo anche negli spogliatoi dove alcuni calciatori a turno rimangono vittime.”