Ha destato scalpore, durante il match valevole per i quarti di finali dell’Australian Open tra il nostro
Berrettini e il francese Monfils, le intemperanze di alcuni astanti che per gran parte del match hanno
tentato di deconcentrare il tennista azzurro. Ad un certo punto il giudice di sedia ha invitato ad
uscire qualche tifoso molesto. È anche per questa ragione che Berrettini subito dopo il punto finale
ha urlato più volte al pubblico “Non vi sento!”. Inoltre qualche signore dagli spalti di Melbourne Park
ha addirittura urlato qualcosa (forse di offensivo) contro Berrettini durante la dichiarazione di rito
post match. Inutile dire come la risposta di Berrettini sul fatto che non tutti i presenti amino il tennis
sia stato l’ennesimo dritto vincente.
Sappiamo che tennis e calcio sono due sport completamente diversi, che il rumore, le urla ed il tifo
da stadio sono una componente essenziale nel calcio, mentre nel tennis la concentrazione dei
tennisti è qualcosa di sacro da dover rispettare restando fermi e soprattutto in silenzio. Resta però
il fatto che quando qualcuno commette un qualcosa per innervosire l’avversario o, peggio, lo insulta,
nel tennis il fatto assume un risalto importante.
Nel calcio invece, purtroppo, l’insulto è uno strumento che tifosi e atleti sono soliti utilizzare oltre
alla tattica e alla tecnica. Possibile che nel calcio non siamo in grado di affrontare un avversario
senza avere necessariamente il bisogno di insultarlo? Vlahovic ha scelto di rifiutare il rinnovo con la
Fiorentina, ha rifiutato pure di fare incassare offerte plurimilionarie alla società che lo ha cresciuto
rimandando al mittente le offerte pervenute dalla Premier. La punta serba vuole solo la Juventus. Il
suo è oggettivamente un comportamento deprecabile e irriconoscente, ma che bisogno c’è di
rivolgergli offese razziste? Insulti che poi, pur non rappresentando tutta la tifoseria viola,
automaticamente vengono intestate alla totalità dei sostenitori del club di Commisso e questo
rappresenterebbe un danno di immagine per la stessa società.
Questa non vuole essere la sede per fare le verginelle né tantomeno per passare da puritani,
perbenisti o, termine tanto in voga in questi anni, buonisti. Se a chi ti fa un torto gli dai dello “str…”
o “testa di c….”, pur essendo questi epiteti volgari, ineleganti e anch’essi insultanti, sarebbero
tollerabili perché comunque rivolti alla persona rea di aver commesso l’eventuale torto. Ma tirare
in ballo l’etnia o l’origine, o addirittura parenti defunti è un aspetto per cui il movimento del calcio
dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere. Non possono essere più tollerabili gli insulti razzisti o quelli
ad esempio rivolti alle mamme scomparse degli atleti in campo. Il discorso vale sia per i tifosi sugli
spalti che per i giocatori in campo.
Infatti proprio nella giornata di ieri nella partita di Serie B, Lecce – Vicenza, il centrocampista
giallorosso Majer ha insultato la mamma di Meggiorini scomparsa da poco, e l’ex attaccante del
Torino ha reagito rispondendo “Cosa c’entra mia madre? Porta rispetto!” prima di scoppiare in
lacrime. Quelle lacrime sono state un pugno nello stomaco di tutti, perché una reazione così umana
ci ha riportato alla triste realtà che troppo spesso si vive intorno al calcio: ossia l’utilizzo di insulti
volti ad offendere, a discriminare o semplicemente ad innervosire l’avversario. A tutto dovrebbe
esserci un limite. Sappiamo tutti che grazie all’insulto, nel 2006 l’Italia ci ha vinto un mondiale con
Materazzi che ha tirato in ballo qualche legame affettivo di Zidane, inducendo il fuoriclasse francese
a perdere la testa e a reagire in maniera dirompente, nella finale di Berlino contro gli azzurri. Proprio
lui, Materazzi, che nel corso della sua carriera da calciatore ha dovuto subire quasi ogni domenica
insulti rivolti alla mamma defunta. Certo, lui aveva un altro carattere e riusciva a reagire a tanta
cattiveria, ma è naturale che Materazzi ne abbia sofferto, anche quando riusciva a reagire. Sarebbe
il caso che tutti noi, in tutti i campi, non solo nel calcio, riuscissimo a portare avanti le nostre tesi, a
reggere un confronto, anche ad avere uno scontro, senza sferrare colpi bassi con insulti che non
c’entrano minimamente con la controparte. Forse è utopico, ma sarebbe un esercizio utile per tutti
mettersi concretamente nei panni dell’altro. Se invece la pensiamo diversamente, abbiamo almeno
la decenza di non prendere le parti di Meggiorini e lasciamolo piangere da solo, perché oltre
all’insulto ricevuto, non ha bisogno di ricevere anche la nostra ipocrisia
Vincenzo Chiarizia