(Fonte foto: La Repubblica)
. . . eccoci. Ci risiamo . . Siamo alle porte di un nuovo campionato di calcio. Le serate estive degli italiani si riempiono di nomi roboanti. Sono i nomi del calciomercato. Un calciomercato sempre più blindato. Sempre più chiacchierato e sempre meno entusiasmante. Naturalmente solo le squadre “top” potranno sfoggiare acquisti significativi, a fronte di cessioni altrettanto importanti, mentre le “piccole” dovranno fare di necessità virtù, cedendo i pezzi più pregiati, vendendo e comprando con parsimonia, affidandosi a prestiti e a dilazioni di pagamento.
Essendo un mercato che si orienta principalmente con un focus al bilancio, inevitabilmente fa perdere interesse al calciofilo medio, poiché, per quanto informato, lo spettatore non potrà mai avere la reale percezione della qualità del giocatore che viene affiancato alla propria squadra, fino alla prova impietosa del campo.
Attenzione, parlo a ragion veduta di “spettatore” e non di “tifoso” e spiego brevemente i motivi. Quando il calcio era ancora uno sport popolare, aveva un senso parlare di tifosi, di passione, di sogni e di speranze, di serate magiche e di grandi prestazioni. Era una sensazione di pancia! La squadra doveva esprimere dei sentimenti, doveva farti innamorare con la prestazione, doveva “sudare la maglia” come si dice dalle mie parti, con l’obiettivo del miglior risultato sportivo possibile. Purtroppo, nel calcio moderno, le società si affidano a speculazioni di stampo finanziario e di attenzione al bilancio. A parte qualche rara eccezione, non esiste più il mecenate del calcio che compera il giocatore di fama per accontentare il proprio bacino d’utenza. Si fanno le squadre con il bilancino, nell’intento di accontentare tutti: i presidenti
che possano spendere poco e con prospettive future di plusvalenze, gli allenatori che possano coprire i ruoli con giocatori di proprio gradimento ed i procuratori che possano massimizzare il loro profitto e quello del loro giocatore…e il tutto con un occhio al bilancio ed ai diritti (televisivi e di immagine).
In tutto questo il tifoso dov’è? Qual è il ruolo del tifoso? Ve lo dico io: il vero tifoso è scomparso. Non esiste più. Il tifoso, nel ruolo di “appassionato alla propria squadra”, dà fastidio, perché pretende nomi e risultati. Molto meglio uno spettatore che si limita a vedere uno spettacolo (non importa se penoso o entusiasmante). Non importa neanche la sua presenza fisica alla stadio, perché il tifoso da divano rende molto di più; non contesta e quando spegne la televisione è tutto finito e se ne parla la prossima settimana. Il tifoso genuino va allo stadio perché ama far parte dello spettacolo, ama cantare e
sostenere personalmente la propria squadra, fisicamente, con partecipazione diretta. Ma ora si tende a fare stadi sempre più piccoli e quindi con biglietti sempre più costosi, stadi dove bisogna stare seduti e possibilmente partecipare con moderazione. Sono stati vietati i tamburi ed i fumogeni, in pratica una parte della coreografia è negata per questioni di ordine pubblico, snaturando la natura (scusate la ridondanza del termine) del tifoso e relegandolo, appunto, a semplice “spettatore”.
Ecco, se dovessi descrivere la mia sensazione, direi proprio questo: nell’intento di migliorare, parallelamente ed inevitabilmente, si è ottenuto l’effetto (negativo o positivo, giudicatelo voi) di smorzare le passioni.
Claudio Boccaletti