Il Derby che ogni volta ritorna

Fonte foto Dazn.com

C’è qualcosa di opaco ormai nello svolgersi del “Derby della Mole”, probabilmente dovuto alla perdita o alla mutazione di alcuni dettagli socio/culturali italiani che danno all’avvenimento un sapore di artefatto, di sepolcro imbiancato tenuto su per dare la possibilità a menti disorientate di coltivare l’illusione di essere ancora protagonisti di una storia smarrita. E non è, si badi bene, il dislivello sportivo aumentato a favore della Juventus negli ultimi anni, ma piuttosto la scomparsa di alcune precondizioni di base affinché la narrazione del derby di Torino potesse andare avanti come sempre è andata avanti per quasi un secolo. La Fiat trasformatesi, passando per lo step FCA Auto, in Stellantis ha praticamente abbandonato da qualche anno il capoluogo piemontese, e con essa c’è stata una quasi semi desertificazione di tutti i pianeti satelliti dell’indotto. Il conflitto di classe, individuato da Karl Marx come il vero motore della storia dell’umanità, se ne andato altrove con le linee di produzione di Mirafiori e con esso le ragioni stesse di scegliere il Toro come un modello di rivolta emotiva ed intellettuale di opposizione alla strategia del mondo costruito per i vincenti del padrone delle ferriere, in questo caso della famiglia Agnelli. La classe operaia della città piemontese è stata sostituita da un precariato diffuso in affanno nel trovare un suo posto nel mondo, una qualche identità che potrebbe consentirgli di collocarsi come massa antagonista di un nemico/padrone difficile da individuare nel contesto di una città lasciata sola dalla sua elite nel ricordo struggente di una gloria passata. E non basta riunirsi in una sala d’albergo per proclamare pomposamente una sorta di “stati generali granata”(manco fossimo alla vigilia di una rivoluzione francese) in nome di Valentino Mazzola e di un anticairismo diffuso che, spiace dirlo, tocca esclusivamente l’esigua porzione di tifo militante ormai rimasta in vita. Si dice, cadendo in un sorprendente equivoco, come il tifo abbia cessato di essere appartenenza vivendo in un contesto sociale dove a contare è solo il senso di vittoria; e il Torino non vince. Le mancanze di successi sarebbero, secondo alcuni, la causa della mancata scelta delle generazioni 2.0 di sposare la causa granata, e si sottolinea quindi l’urgenza di un Toro vincente come antidoto. Ma un Toro vincente, magari sotto una proprietà ricchissima stile Manchester City, non sarebbe più quella squadra nata sotto la bandiera del resistere sempre e ad ogni costo ad una cultura, preponderante negli ultimi quarant’anni, con la priorità di propagandare la vittoria come unico orizzonte dell’esistenza. Molti dimenticano, o proprio non lo sanno, come la squadra granata sin dalla sua nascita ha avuto un solo compito dal destino, ovvero vincere quando serve. Il mistero di questa meravigliosa squadra sta tutto qui, la sua diversità sta tutta qui. Il Grande Torino questo semplice messaggio lo racconta dalla seconda metà degli anni 40, e i tifosi granata fino ad un certo punto sono stati capaci di tramandarlo, ma poi il patrimonio di valori si è dimenticato ed è andato disperso. Dare la colpa di tutto questo ad Urbano Cairo, che ha comunque responsabilità gravissime sul basso profilo scelto per la gestione del club e del rispetto della storia granata, è fin troppo facile e porta dritti alla deresponsabilizzazione collettiva. La crisi emotiva del Toro è una delle spie del cattivo stato di salute esistenziale in cui versa il nostro Paese, ma non tutto è perduto. Vincere o perdere il derby di domani non è importante, vitale è recuperare lo “spirito indiano” di cui parlava Emiliano Mondonico. Non è mai troppo tardi per riannodare il filo di una storia.

Una risposta

  1. Ciao Carmelo concordo su tutto, ma il discorso del tifo granata e sul discorso del vincere e abbiamo perso le nostre radici nn è proprio così…noi saremo sempre indiani ma nn vorremmo essere sterminati cosa che vuole qualcuno… Cairo? In 17 anni e i suoi proclami da venditore di fumo hanno stancato..e lo si odia nn perché nn vinciamo lo scudetto…a tra poco

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